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Gigi Notari: polizia e democrazia

Gigi Notari: polizia e democrazia

17 Giugno 2015, 09:04

CLAUDIO RINALDI

Un personaggio, Gigi Notari (Luigi solo per l’anagrafe). Un vulcano: di idee, di interessi, di passioni. Adesso che ha riposto nell’armadio la divisa da poliziotto, dopo una lunga e onorata carriera (è il caso di dirlo, nel suo caso) è diventato anche un personaggio da libreria. E’ uscito «Al di sotto della legge» (sottotitolo: «Conversazioni su polizia e democrazia»), che racconta la sua vita, in divisa e non. Una lunga chiacchierata con Mauro Ravarino, giornalista (scrive per «il Manifesto» e «Il Secolo XIX») che si definisce «reduce di Genova» e si proclama «diffidente» nei confronti delle forze dell’ordine, è diventato un libro-intervista. Piccolo formato, poche pagine: ma tanti concetti, tanti spunti di riflessione, tanti stimoli di approfondimento. Mezzo secolo di storia d’Italia. E il racconto di tante battaglie di Notari, che alla carriera da poliziotto ha presto affiancato quella da sindacalista, prima pioniere e poi segretario nazionale del Siulp. E una miriade di aneddoti.

«E’ come se avesse un cappello da prestigiatore in cui raccogliere infiniti aneddoti, affastellati l’un l’altro – spiega già dalla prima pagina Ravarino –. E appena incomincia a parlare, o meglio, affabulare, è difficile fermarlo». C’è tutto Gigi Notari, in queste due righe. C’è la sua simpatica incontinenza, c’è il suo modo di vivere. Una ne fa e cento ne pensa: sembra scritto per lui. Versatile, capace di passare dalle indagini sulle stragi del terrorismo all’adorata rassegna «I sapori del giallo», in cui ogni fine estate mette insieme a Langhirano letteratura (i gialli, sua grandissima passione) e buona tavola, dalle crociate per la riforma della polizia al ruolo di priore dell’Arciconfraternita dell’anolino.

Sotto la divisa, il cuore: che batte per i più deboli. Sopra a tutto, il cervello. Che lo ha sempre spinto a pensare con la propria testa, rifiutando – anzi, prendendo a calci – le convenzioni, la prassi, le regole che riteneva inique.

Nevianese di Campora, langhiranese d’adozione, metà bolognese e metà romano per servizio (questura più sindacato), Notari entra nella polizia dopo essere stato bocciato alla maturità (per inciso, si riscatta più avanti, laureandosi in Sociologia mentre lavora). E’ il 1976, quando vince un bando regionale di arruolamento, pensando soprattutto di togliersi il pensiero del servizio militare. Resterà in divisa per 38 anni, fino alla pensione. Qualche tempo alla Celere e molta Digos e Antiterrorismo, nella sua carriera. Anni duri e bui, gli ultimi Settanta, con la minaccia incombente del terrorismo e le forze dell’ordine nel mirino delle Br. Notari si iscrive all’università ma non frequenta, per paura di prendere una pallottola. «Eravamo un bersaglio. Nel marzo del 1977 a Roma, i Nap (Nuclei armati proletari) avevano ucciso Claudio Graziosi, guardia di pubblica sicurezza, che era in borghese su un pullman e aveva riconosciuto due terroristi».

A Bologna conosce Massimo Bax (che anni dopo verrà a Parma a dirigere la Squadra volanti), nasce un'amicizia solida, basata anche sul modo comune di intendere il mestiere: l'umanità prima di tutto.

Si occupa dell’inchiesta sulla bomba alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 («L’unica strage per cui si è arrivati a una condanna definitiva, grazie anche all’impegno e alle intuizioni del pubblico ministero Libero Mancuso») e segue, dall’inizio alla fine, quella sulla strage del rapido 904 del 23 dicembre 1984, con 17 morti e 267 feriti («Fu il primo attentato della mafia, in combutta con l’estrema destra, fuori dalla Sicilia»).

Da subito, appena entrato in polizia, capisce che serve un profondo cambiamento, per avvicinare la polizia alla gente e per cancellare certe storture delle questure. E si schiera senza esitazioni tra i riformisti, che si battono per la smilitarizzazione del Corpo.

Nell’aprile dell’81, la riforma viene approvata, e segna «un cambiamento culturale», con il poliziotto che «diventa soggetto sociale e mediatore». Non sono tutte rose e fiori. Un fiore è l’apertura alle donne, un lato negativo è che «presto si è perso lo spirito della riforma e si è tornati indietro. Il risultato è che l’attuale polizia è solo formalmente civile».

Anche per colpa dell’adozione, nel tempo, di vari provvedimenti da «controriforma»: soprattutto sotto il governo Dini, negli anni Novanta. Per vari motivi, «in quegli anni in polizia si radicò un’impostazione di stampo americano, che diede il via all’era dei superpoliziotti, incarnati nella figura del futuro capo della polizia, Gianni De Gennaro».

Di nuovo, anni difficili, con il culto dell’efficienza che finiva per sfociare in «discutibile rambismo». Come a Bologna, in una questura che per Notari non ha segreti, dove deflagra la bomba della banda della Uno bianca. «Un grande mistero. La tesi che fossero isolati nella loro criminosa follia non mi ha mai convinto. Strano che in polizia, dove tutti sanno di tutti, nessuno si fosse accorto di nulla».

Indagini su indagini. Battaglie (sindacali) su battaglie. E indignazioni. Come per il caso Dozier (dicembre ’81-gennaio ’82), con la polizia che tortura i brigatisti arrestati. «Il primo caso di malapolizia dopo la riforma», secondo Notari. «Un meccanismo infernale che si è poi ripetuto nel corso della storia. Di fronte agli errori operativi e agli abusi, l’apparato tende a rinforzarsi e le strutture democratiche a indebolirsi. La polizia si autorappresenta come un totem, mettendo a rischio la necessaria trasparenza di un’istituzione. Vent’anni dopo, al G8 di Genova, la stessa identica cosa».

Dopo tutto quello che succede, Notari è il primo poliziotto a partecipare a un dibattito pubblico sul G8, nei giorni immediatamente successivi al patatrac. Perché? Semplice, per aiutare la polizia. «Quello che era successo, per i gravi errori commessi dalla polizia, aveva causato un immediato danno alla nostra istituzione, un rapido isolamento. Bisognava evitare che proseguisse la deriva». I motivi? Notari non ha dubbi: la distanza dalla società che la polizia si era costruita in senso antiriformistico. Ancora una volta, vincono il confronto e la discussione: l’incontro va benissimo, una sola contestazione e molto interesse del pubblico, in principio non proprio ben disposto. Non era facile.

E cosa direbbe, oggi, a un giovane che diventa poliziotto? «Di non essere prevenuto. La polizia di Stato tra i corpi armati rimane quello più contaminabile in termini democratici. Lo inviterei a impegnarsi nel sindacato per il bene del Paese e della comunità, non per la polizia in sé. Noi siamo servitori della legge, non dello Stato».

Un’ultima raccomandazione: «Gli direi di ricordarsi sempre che la civiltà di un Paese si misura con la civiltà delle forze di polizia».

Al di sotto della legge

di Luigi Notari con Mauro Ravarino

Edizioni Gruppo Abele,

128 pagine, euro 10

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